Sterzata a sinistra nell’America Latina:
l’insurrezione del Venezuela nel cortile degli USA

Chavez in Venezuela, Morales in Bolivia, Correa in Ecuador e adesso anche l’ex-capo dei sandinisti Ortega in Nicaragua! Stando alla stampa europea e alla politica ufficiale, sono le persone sbagliate che assumono il potere nell’America Latina. Unanimamente viene sostenuto, che questi uomini di potere arrivino, di fronte ad una ammessa desolata situazione dei loro paesi, a conclusioni assolutamente erronee, seguono obiettivi politico-economici che comprovano la mancanza della dovuta competenza specifica, fanno promesse populiste alle masse e dilapidano i fondi della loro nazioni per mantenerle. Una opinione pubblica, che di solito ha molta simpatia per un “sano patriotismo”, scopre, che in America Latina si sta’ dilagando un nazionalismo di sinistra pericoloso. Quale sorpresa! Il programma, che Chavez segue da qualche anno, e che altrove rischia di trovare imitatori più o meno decisi, trasgredisce a fondo contro tutte le pretese, che i guardiani internazionali del buon costume nel mercato mondiale ritengono ovvio avere verso questi paesi.

Osservazioni sulla fama, buona o cattiva che sia, di un’aventura anti-imperialista.

Il governo Cahvez fa il serio tentativo di governare bene il Venezuela. I suoi alti criteri sono la previdenza e la giustizia sociale. Questo esperimento viene intrapreso in un mondo pieno di stati, che si basano sul potere privato del capitale, e i capitalisti stessi, non apprezzano minimamente un tal modo di “good governance”. I loro potenti amministratori statali, i politici, giudicano ogni eccezione delle loro regole sulla libera circolazione del capitale, regole fatte per il loro vantaggio, e del, per i loro scopi, funzionante ordine mondiale, come un atto dannoso che deve essere assolutamente limitato e prima o poi ricorretto. E non solo questo. Chavez e i suoi compagni intraprendono la loro avventura di governare a favore del popolo, proprio con i mezzi di quel mondo imperialista, contro il quale loro con questi si oppongono: con le entrate ottenute dall’esportazione del petrolio. Qui si servono di un cespite di entrata di cui non hanno realmente la libertà di disporne: sì, che hanno accesso libero al loro richiesto bene di esportazione, ma non nella disponibilità di pagamento della loro clientela estera che con il petrolio aquistato fa funzionare un’accumulazione capitalistica a cui il Venezuela ha sempre aspirato, ma mai potuto realizzare. L’altro “bene” di cui lo stato venezuelano dispone, il popolo stesso, non fornisce i mezzi necessari per un potere politico degno di nota, e tanto meno quelli per un governo nel senso della “ revoluzione bolivariana”. La fonte di denaro, con la quale il governo venezuelano finanzia il suo programma di “good governance” anti-imperialista, richiede specifici e permanenti sforzi politici per assicurare una clientela solvente:
- Il Venezuela si deve assicurare dell’interesse commerciale dei complessi petroliferi degli USA, proprio di quella nazione, contro la cui egenomia e potenza il governo Chavez si oppone.
- deve destare e curare gli interessi commerciali e politici delle altre grandi potenze dell’economia capitalista mondiale che concorrono piu’ o meno apertamente con gli USA
- Inoltre il Venezuela deve, per sostenere la base degli affari nazionali, creare e mantenere un certo consenso con i suoi concorrenti, cioè con gli altri stati esportatori di petrolio.
Questi sforzi venezuelani, continuamente minacciati, trovano nel pluralismo dell’opinione pubblica mondiale da una parte solo ostilitá, e dall’altra, nella sinistra e fra i no-global, un gran numero di simpatizzanti. Le riserve e le accuse liberal-democratiche e in particolare l’osteggiamento da parte della stampa con la sua straordinaria competenza imperialista, sono caratterizzati nei confronti di Chavez e della sua “rivoluzione bolivariana” da un tale spirito d’intolleranza ed una tale volontà denuciatrice, che sembra, che il quarto potere si dovesse opporre per l’ennesima volta agli inizi della rivoluzione comunista mondiale. Gli sforzi di Chavez per consolidare il suo potere, vengono giudicati “non democratici” anche laddove lui è riuscito a legittimare la sua carica con plebisciti vinti. Tuttavia è vero che le elezioni e votazioni nel Venezuela sono, a differenza di quelle nelle „patrie della democrazia“, tutt’altro che la mera benedizione delle condizioni vigenti da parte delle loro vittime. I plebisciti venezuelani rappresentano piuttosto la mobilitazzione della gente povera in una perenne lotta per il potere, e quindi non corrispondono affatto al tipo di votazioni previste dall’ordine liberal-democratico. Ciò è già motivo bastante per imputare Chavez di essere un’assetato di potere. Ma se lui avesse veramente questo bisogno, troverebbe nel grembo dell’imperialismo stesso metodi molto più comodi che l’utilizzo del potere statale e degli introiti del petrolio in un programma per l’ alimentazione e l’educazione del popolo, con il quale il presidente si crea nemici nel proprio paese, e soprattutto ostilità delle grandi potenze mondiali, dal cui denaro il suo dominio dipende.
Al programma stesso viene pronosticato un necessario fallimento: Le fonti di petrolio si esaurirebbero e l’infrastruttura crollerebbe, se le relative entrate non finissero più nelle tasche di chi è veramente competente, cioè in quelle delle multinazionali e in quelle degli altri beneficiari privati. Solo loro avrebbero la potenza economica di “sviluppare” paese e popolo - sostengono gli esperti, che si presentano con sfacciata ipocrisia come gli avvocati della gente velezuelana povera. Gli stessi esperti giornalisti mettono, senza battere ciglia, nella colonna di fianco, i loro lettori al corrente del fatto, che fino adesso tutti i tentativi di rendere il capitale un mezzo per lo sviluppo del paese hanno portato, in tutto il continente latinoamericano e in particolare nel Venezuela, a un continuo aumento della miseria delle masse. – Dapprima i governi fecero esperimenti con il capitalismo statale allo scopo di poter sostituire le importazioni, dopo, alla fine del secolo scorso, cercarono lo sviluppo con una politica chiamata neoliberale, che attuò in primo luogo una svendita dei beni nazionali. - In ogni caso, nell’ottica dei giornalisti specializzati nelle redazioni di economia, l’impegno di mezzi finanziari statali per pagare sussidi ad un popolo inutile perchè non usato in modo capitalistico, è tutt’altro che un uso appropriato del denaro. I professionisti autorizzati a creare l’opinione pubblica nel libero mondo del pluralismo sono completamente sicuri di questo giudizio, cosichè non si esprimomo affatto a favore di un calmo attendere per vedere come vanno le cose nel Venezuela, ma sono contro ogni concessione concernente un periodo di sviluppo autonomo del paese.
In una economia di mercato globale non c’è semplicemente posto per un programma, che finanziandosi con gli introiti del petrolio lotta seriamente contro la miseria. Nel senso dell’economia di mercato, un tale programma è completamente “fuori dal mondo” e quindi un progetto pazzo. Da ciò deriva naturalmente, che in tale senso si debba sostenere, che l’incompatibilita’ tra un programma antimiseria e l’economia di mercato non sia un argomento contro quest’ultima e il suo trionfo globale, ma che comprovi invece la necessità di porre fine, meglio prima che poi, a certe avventure contrarie al sistema.
Contro questa polemica anti-Chavez esistono non pochi comitati e iniziative nei gruppi di sinistra no global, che cercano di organizzare atti di solidarietà con il Venezuela, i suoi poveri e il loro presidente. Loro, pur non lasciandosi irritare dall’accanita ostilità pubblica contro il progetto “socialismo bolivariano del 21esimo secolo”- non vogliono però prender atto, a quale spietata coclusione, la classe politica borghese è arrivata, decretando l’assoluta incompatibilità contro qualsiasi deviazionista dal codice del buon governare, fissato nell’economia di mercato libero e nella democrazia. E nemmeno si vogliono particolarmente interessare per quell’ordine imperialistico mondiale, che di fatto tollera solo a stento un governo che, svolgendo un programma di trasformazione a favore della gente, non segue le regole usuali. È per questo che i custodi di queste regole reagiscono mettendo al bando il governo venezuelano e inserendolo nella lista dei candidati per un “cambio del regime”.
Gli amici dei programmi anti-imperialisti come quello del Venezuela non ritengono significante la spiegazione, che i rapporti di potere e repressione nel mondo odierno hanno la loro causa nella ragione di stato delle grandi economie democratiche, e cioè proprio in quelle potenti nazioni dove la maggior parte di loro vive. Le grandi democrazie deducono dal loro potere e dal raggio di azione dei loro interessi il diritto esclusivo di “assumere responsabilità” in tutto il mondo, e di provvedere per le condizioni che garantiscono la servitù della gente e del territorio all’accumulazione del capitale. Da tutto ciò consegue, che queste condizioni possono essere abolite solo qui, dove il potere delle autorità, che garantiscono l’ordine mondiale, viene riprodotto ogni giorno, quindi dove i veri e propri potenti di questo mondo hanno la loro base.
Tale critica contrasterebbe però con la speranza in un miglioramento del mondo, sulla quale gli amici del Venezuela puntano con Chavez. Proprio il suo continuamente minacciato esperimento, con la precarietà di un sovrano, che usa le entrate dagli affari internazionali nel settore dell’energia per il consumo del popolo, fine non previsto dalle grandi potenze dell’economia, viene considerato da costoro come una prova di fatto che “un altro mondo sia possible”. Questo è senza dubbio giusto, ma solo dopo aver ridimensionato il concetto di un “altro mondo” a un livello molto modesto e che l’accento rimanga sempre sulla parola “ possible”. La posizione degli amici della “rivoluzione boliveriana” non è però così moderata. Loro amano un Venezuela, in cui pensano di riconoscere i loro ideali preferiti, e cioè:
- la mecca della “democrazia di base” – mentre Chavez si sforza faticosamente sulla fastidiosa necessità di mobilitare una base di massa sufficente per il suo deviante programma di stato, e di suscitare tra queste masse la disponibilità di affrontare le conseguenze del suo programma anti-imperialista ed a stabilierle come base del suo potere.
- “ un nuovo socialismo del 21esimo secolo” mentre nel Venezuela Chavez e i suoi compagni sono intenti a risolvere i problemi di sopravvivenza della gente, a mitigare la loro miseria ed apatia ed a realizzare, con una produttività piuttosto bassa, un programma di lavoro per il popolo.
- “ un possible inizio della fine dell’imperialismo statunitense e del dollaro americano”- mentre il governo venezuelano lotta, approffitando dalla concorrenza tra i rivali imperialisti, per conservare perlomeno il proprio posto.
E così i critici di sinistra scoprono nel Venezuela del presidente Chavez un altra “tappa” nella loro eterna ricerca d’occasioni per una “ vita giusta in quella falsa”.