Le tre ragioni della guerra in Ucraina
La guerra in Ucraina è condotta da tre parti: dalla Russia, in qualità di aggressore, sotto il nome di “operazione militare speciale”; dall’autorità statale aggredita di Kiev al comando di un esercito addestrato ed equipaggiato dagli Stati Uniti e dalla NATO; e dall’Occidente, cioè dagli Stati Uniti e dalla NATO in un rinnovato fronte unito che include l’UE. Questi agiscono non direttamente come parte belligerante, ma attraverso una duplice funzione: quella di finanziatori dello Stato ucraino e di organizzatori della sua potenza militare. Agiscono direttamente, invece, attraverso una guerra economica degna di questo nome, in quanto mira alla distruzione della base capitalistica del potere statale russo. Ciascuna di queste parti ha le proprie ragioni per la guerra – al di là di tutte le buone ragioni che, come in ogni guerra, non mancano mai a nessuno dei partecipanti.
1. Russia
La Russia è passata all’offensiva militare per due scopi di carattere difensivo che si sovrappongono nel risultato.
Da un lato, questa difende i suoi molteplici interessi nel grande Paese vicino, emerso come nuovo Stato nazionale sovrano dalla frammentazione dell’ex Unione Sovietica in una “Comunità degli Stati Indipendenti”. L’obiettivo del governo russo è quello di consolidare i suoi legami speciali con l’Ucraina, che vanno oltre le normali relazioni commerciali e politiche tra due Stati e i vantaggi che ne derivano per il proprio Paese. Questi legami si basano sugli effetti persistenti dell’epoca in cui l’Ucraina era, come Repubblica Socialista Sovietica, uno Stato facente parte di una Unione governata da Mosca e appartenente a un’area economica con un proprio sistema di divisione del lavoro non capitalista. Dal punto di vista russo ciò che caratterizza tutte le repubbliche ex-sovietiche come “vicine a Mosca”, e l’Ucraina in particolare, è quanto segue : una parte significativa della popolazione di lingua russa, la cui lealtà tende a orientarsi verso la Russia; un’economia, in gran parte rovinata a causa della sua separazione dal contesto della precedente economia pianificata e la cui esistenza dipende ancora, almeno in parte, dal suo legame con la Russia; una posizione corrispondentemente forte delle fazioni filo-russe nella disputa interna – in questo caso, tra i partiti. La presenza e l’efficacia del proprio potere politico ed economico nel grande “Paese fratello”, divenuto nazione indipendente e il suo diritto ad orientarlo politicamente in modo fondamentale e ad allocarlo strategicamente vengono contestati alla Federazione Russa in modo massiccio e sempre più efficace. Le forze contestatrici in questione sono la NATO e la sua leadership americana, attraverso la progressiva integrazione politica e militare dell’Ucraina nelle sue strutture strategiche dell’Europa orientale, e l’Unione Europea, che sta portando il Paese più vicino al suo regime economico e giuridico, attraverso riforme che non fanno per niente bene all’Ucraina, ma che in ogni caso diminuiscono l’influenza russa. Da un decennio Mosca difende, prevalentemente dal lato militare, i suoi interessi e la sua pretesa giuridica, mirante a co-determinare il destino del Paese vicino, con l’instaurazione di un controllo diretto o indiretto su alcune parti del Paese: la Crimea, la cui annessione è contestata politicamente senza compromessi, e due zone orientali del Paese, diventate repubbliche, la cui esistenza viene combattuta militarmente. Tra le ragioni del governo russo per la sua “operazione speciale” si trovano la salvaguardia e l’espansione, o la salvaguardia attraverso l’espansione, di questi territori conquistati, l’eliminazione dei progressi che l’Occidente ha fatto nella sua presa sull’Ucraina e idealmente una fondamentale inversione dell’orientamento filo-occidentale del Paese.
Per Mosca ciò coincide con la necessità di una difesa strategica di ben altra portata. La progressiva appropriazione dell’Ucraina da parte della NATO, che definisce e tratta con sempre maggiore determinazione e coerenza lo Stato russo come suo avversario principale, porta la Russia a vedere la propria sicurezza in pericolo. Dopo tutto, con l’annessione dell’Ucraina alla NATO – poco importa che sia ufficiale o “solo” di fatto – l’Occidente persegue l’obiettivo di perfezionare sia l’accerchiamento militare sempre più stretto della Russia con forze convenzionali, sia la costruzione di un arsenale nucleare sempre più vicino al centro del potere statale russo: quest’ultima nel quadro dello scopo generale degli Stati Uniti di tenere qualsiasi corso di guerra sotto controllo, anche e soprattutto l’escalation di un confronto nucleare con la Russia, al punto che questo sembri praticabile e così possa essere usato come una minaccia effettiva. Tutto ciò mette a rischio elementi e posizioni centrali del potere strategico-militare russo: la sicurezza del confine sud-occidentale contro un nemico sempre più potente, la libertà d’azione sul Mar Nero, ma soprattutto, e questo va ben oltre una opzione militare, teme per la sua capacità di poter affrontare una guerra nucleare. E’ preoccupata del fatto di riuscire a resistere a una escalation della guerra nucleare fino al punto tale che il risultato sia almeno incalcolabile per l’America, facendo sembrare la guerra un rischio inaccettabile, quindi un’opzione impraticabile. Questa è l’idea della famigerata dottrina MAD, Mutually Assured Destruction (distruzione reciproca assicurata), secondo la quale le grandi potenze nucleari, quando preparano la guerra e si armano per essa, si impegnano a non scatenarla a causa del già eccessivo potere distruttivo delle armi del nemico. Se l’Ucraina dovesse diventare una base di lancio per i missili americani, la Russia correrebbe il rischio di trovarsi con il suo enorme arsenale di armi nucleari all’ultimo stadio dell’autodifesa strategica. Comunque il governo vede in questo un’intensificazione intollerabile del pericolo, considerando variabili strategiche, come i tempi di preavviso e le possibilità di reazione in uno scambio di colpi precisamente calcolato. Per quanto riguarda quest’ultimo stadio, il presidente russo una volta ha sobriamente formulato quanto segue: una guerra nucleare “sarà una catastrofe globale per il pianeta. Ma come cittadino russo e come presidente russo, chiedo: a che fine abbiamo bisogno di un mondo in cui non c’è la Russia?”. (Focus Online, 8.3.18) La capacità nucleare della Russia, costretta da un attacco all’ultima difesa, potrebbe in ogni caso essere sufficiente per la distruzione del resto del mondo, compresi gli Stati Uniti. La Russia è però più che l’ultima nazione sopravvissuta nel campo di battaglia nucleare e lo vuole rimanere. Questa nazione rivendica la propria sicurezza in quanto potenza mondiale che, a differenza di tutti gli altri Stati, decide autonomamente sulla portata delle proprie ambizioni e sulla sicurezza del proprio potere; che determina in modo decisivo l’equilibrio di potere tra le nazioni e al loro interno, “alla pari” della superpotenza statunitense, cioè ad un livello che nessun altro Stato ha mai raggiunto; e che è una potenza mondiale veramente in grado di imporsi. Questo status si basa sulla capacità di deterrenza militare, che assicura al Paese il rispetto incondizionato da parte del suo grande avversario, incrinandone efficacemente la pretesa monopolistica di controllo dei rapporti di forza nel mondo. Proprio questo status è messo in pericolo – non per la prima volta, ma in modo definitivo – dall’avanzata della NATO in Ucraina. Il governo russo percepisce in questo l’intenzione, che viene gradualmente messa in pratica, di contestare offensivamente la pretesa e il diritto della sua nazione a garanzie di sicurezza dello stesso livello di quelle che l’Occidente rivendica e sa procurare per sé in Europa, cioè garanzie per la sua esistenza come potenza mondiale. In questo senso, la Russia protesta diplomaticamente da molto tempo (dai tempi della ricostruzione di un solido monopolio statale dopo l’era Eltsin) contro la violazione di tutte le promesse della NATO di non espandersi sia geograficamente, anche solo in misura limitata verso est, sia in termini di forze, riferendosi a promesse che erano state fatte nel corso della liquidazione del blocco del potere sovietico. In conformità con l’avvertimento trasmesso con queste denunce, la Russia dichiara anche che i continui attacchi politici e le incursioni militari sui suoi territori conquistati nell’est e nel sud dell’Ucraina costituiscono un’emergenza strategica. È qui che si deciderà fino a che punto gli Stati Uniti e i loro alleati alla fine saranno ancora disposti a rispettare la Russia come potenza autonoma che definisce ed è in grado di far rispettare le proprie esigenze di sicurezza allo stesso livello della controparte.
Tramite l’“operazione speciale” il governo russo si confronta con l’Occidente, con la risolutezza di non lasciarsi sottrarre il suo potere di deterrenza, utilizzandolo in modo da avvertire ripetutamente gli Stati Uniti e la NATO di non interferire in una misura tale da portare a un’escalation verso una guerra mondiale. Certo, questo è già molto difensivo in linea di principio. Gli interventi da cui l’Occidente dovrebbe astenersi, così da soddisfare il diritto della Russia ad una sicurezza assoluta e al rispetto della “linea rossa” che è l’Ucraina, sono, insieme all’armamento e all’appropriazione de facto del Paese, già una realtà irreversibile. Ed è per questo che la Russia si vede costretta alla sua drastica “operazione speciale” difensiva. E’ la risposta al fatto che la negazione del rispetto per le rivendicazioni di sicurezza russe da parte occidentale ha già fatto molta strada. Non si tratta quindi di una vera soluzione, ma del risultato di una situazione imbarazzante irrisolvibile. Per la Russia, il successo dipende in realtà dalla possibilità di bloccare almeno a questo punto il temuto spostamento strategico delle forze, cioè di garantire la credibilità del proprio potere di deterrenza senza utilizzarlo. L’operazione non è intesa espressamente come una guerra contro la NATO, né tanto meno come l’inizio di una Terza Guerra Mondiale. Anche nel caso – sempre più dubbio – di un suo successo, la Russia non raggiungerebbe l’obbiettivo di costringere così l’Occidente a rispettare il suo potere di deterrenza. Questo effetto non è per niente nella mani russe. Al contrario, spetta esclusivamente agli Stati Uniti e alle potenze della NATO decidere se e in che misura considerare l’intervento della Russia nel Paese confinante, secondo Mosca una mera “operazione speciale”, come un serio avvertimento a sé stessi e alla loro politica offensiva nei confronti di Mosca e di conseguenza di smettere di attaccare la pretesa della Russia alla sicurezza come potenza mondiale, almeno in Ucraina. In un certo senso, la Russia sta conducendo quasi una guerra per procura combattendo contro una forza militare che fa da ‘sostituto’ al vero nemico; anche in caso di successo locale, la Russia non colpisce il nemico previsto. In questa costellazione asimmetrica, l’Occidente conserva tutta la libertà di decidere fino a che punto vuole immischiarsi nella guerra – oppure non immischiarsi o solo in misura limitata – e di guidarla “da dietro”, senza dipendere realmente dal successo del suo sostituto ucraino. In ogni caso, non si può certo dire che la NATO e gli Stati Uniti siano stati dissuasi dalla loro linea generale di ostilità offensiva nei confronti della Russia. Da parte loro, lo rendono molto chiaro quando ora spingono avanti la lotta dell’Ucraina, per la quale hanno preparato il Paese per anni, fino a quando non sarà vinta – in qualsiasi forma e con qualsiasi devastazione immaginabile – e allo stesso tempo insistono sul fatto che, come alleanza di guerra del Nord Atlantico, non sono parte in causa nella guerra e neanche – non ancora – sotto attacco. In questo modo, stanno praticamente rendendo inefficace la strategia dei russi. Naturalmente gli Stati Uniti e la NATO devono anche registrare che non hanno dissuaso i russi dall’attaccare l’Ucraina. Ma che importa? Dopotutto non hanno minacciato una terza guerra mondiale. Questa è un’opzione che riservano nel caso in cui la Russia decida di lanciare un atto di sfida diretta – o qualcosa che vorrebbero considerare tale.
Con la sua “operazione militare speciale”, la Russia non può sfuggire alla sua strategica situazione imbarazzante di volersi difendere dalla sua già avanzata estromissione dalle decisioni fondamentali sulla pace europea e globale e dal sempre maggiore disinteresse per i suoi autodefiniti interessi di sicurezza, senza aprire un confronto diretto con l’alleanza bellica occidentale. E questo non è dovuto semplicemente a un diseguale equilibrio di potere militare tra l’alleanza bellica occidentale da un lato, con il suo potenziale offensivo americano, e la Russia, assediata su vari fronti, dall’altro. Che la lotta asimmetrica del governo russo contro l’Ucraina non risolva il suo problema fondamentale di sicurezza è dovuto al fatto che si trova di fronte a un mondo organizzato imperialisticamente, che semplicemente non lascia spazio a un secondo Paese richiedente riconoscimento garantito e rispetto riguardo alla sua pretesa di affermarsi ed imporsi in qualità di potenza mondiale.
Il principio dominante dell’ordine in questo mondo consiste, per quanto riguarda i tempi normali civili, nella libera concorrenza delle nazioni per la ricchezza capitalistica e i mezzi per la sua accumulazione. Questo principio è installato in istituzioni legali come il FMI e la Banca Mondiale, l’OMC e in diverse sotto-organizzazioni dell’ONU, aperte in linea di principio a tutti gli Stati che fanno dell’arricchimento capitalistico la loro fonte di potere. La nuova Russia post-sovietica non rifiuta questo sistema di concorrenza. Con i suoi considerevoli mezzi di produzione, anche se antiquati, e le sue buone relazioni con l’estero, vuole parteciparvi. Si è affermata come nazione commerciale e centro finanziario, come fonte di beni d’esportazione ricercati e meta per l’esportazione di capitali. Partecipa agli affari internazionali di sfruttamento e di ricatto del capitalismo globale risentendone delle sue difficoltà come ogni altro Stato capitalista. Allo stesso tempo, però, il Paese ha subito ostacoli particolari da superare fin dall’inizio, ma soprattutto da quando il governo è riuscito sempre di più a ripristinare un monopolio intatto del potere all’interno e a raccogliere sotto il suo controllo i resti dell’ex Unione Sovietica come il suo “estero vicino”. Obiezioni e ostruzioni da Washington e riserve dalle potenze economiche mondiali alleate dell’America hanno reso difficile – come dovrebbero – mettere a frutto le sue capacità economiche in modo capitalistico e renderle utili per il consolidamento e l’incremento del suo potere politico. I politici trasformisti al potere a Mosca hanno classificato queste resistenze come un’offesa nei confronti delle loro buone intenzioni e concessioni che hanno dimostrato con la liquidazione dell’economia pianificata socialista e l’apertura del loro mercato nazionale al libero commercio capitalista, pur senza abbandonare la linea generale dell’arricchimento privato e statale attraverso la concorrenza capitalista.
In realtà, i più grandi responsabili politici del commercio capitalista globale hanno chiarito a loro che la partecipazione al mercato libero capitalistico non è gratuita. Ciò che viene richiesto è la sottomissione a un insieme di regole procedurali che rendono gli interessi propri degli Stati fondamentalmente dipendenti da certe condizioni e pongono limiti alla loro piena autodeterminazione. È solo per le potenze leader che queste regole non rappresentano limiti, ma piuttosto opportunità. Tutti gli altri, e questo vale anche per la grande Federazione Russa, si espongono con la loro partecipazione, interessata e conforme al sistema, al potere ricattatorio dell’Occidente che non deriva da successi competitivi o dal loro potere economico relativamente più grande, ma che consiste in e si basa su un ampio e radicale regime sulle modalità della concorrenza tra le nazioni. Ciò non dipende proprio dalla qualità delle istituzioni di diritto internazionale, che rappresentano l’ordine globale degli affari e che, nella loro politica di regolamentazione, sono determinate in modo decisivo dagli Stati Uniti, in parte come maggiore azionista, ma sempre come membro più importante. Ciò che mantiene il regime in ultima istanza è il dollaro USA come moneta mondiale decisiva e di riferimento, per il cui incremento i capitalisti sono in concorrenza tra loro e per il cui prospero uso nazionale gli Stati capitalisti del mondo moderno sono in competizione; è il mercato finanziario americano come fonte decisiva di credito con cui i capitalisti del mondo finanziano l’aumento della loro ricchezza e gli Stati la loro crescita nazionale; è la liquidità creata e garantita dalla banca centrale USA che fa andare avanti tutto. Sono questi prodotti e attività degli Stati Uniti, in produttiva combinazione con alcuni rivali alleati in Europa e Asia, che hanno reso i mercati del mondo capitalista e i loro attori privati e politici fondamentalmente dipendenti dall’unica potenza economica globale, dandole il monopolio di prendere possesso del mondo in modo imperialistico. Non sono i vincoli della concorrenza capitalistica in quanto tali, né i risultati – a loro volta distribuiti in modo molto unilaterale – della concorrenza che si svolge sui mercati mondiali, ma è questa dipendenza che permette agli Stati Uniti, grazie al loro potere di creazione del denaro e del credito nell’economia mondiale, di esercitare un regime sui partecipanti al capitalismo globale, il che equivale al potere di ammettere o escludere intere nazioni e dà forza a tutte le decisioni restrittive intermedie. Questo è il potere con cui il grande successore legale capitalista dell’Unione Sovietica fallita deve fare i conti: una politica occidentale, soprattutto americana, che rende chiaro e effettivo che la supremazia delle nazioni, la cui valuta è moneta mondiale, sul mondo capitalista degli Stati sia incompatibile con una Russia che si sta trasformando in una grande potenza autonoma.
La Russia non ha nulla di simile da opporre a questo rapporto di dominio imperialista civile, perché il denaro e il credito americano non sono mezzi intercambiabili del capitalismo globale e il regime basato su di essi non è una manovra con cui l’America debba di continuo riaffermarsi. Nel corso dei decenni della sua validità, al di là di ogni considerazione politica e di pianificazione strategica, il potere del dollaro sull’economia mondiale si è solidificato in un intero sistema di rapporti di superiorità e sottomissione che detta, a tutti i liberi concorrenti, le condizioni economiche della loro esistenza come situazione oggettiva. Dai risultati della concorrenza sono emerse una completa gerarchia e tipologia di Stati capitalistici, che nessun potere statale ha inventato o preso di propria scelta. Il loro status in questa gerarchia, d’altra parte, definisce la ragion di stato delle nazioni e le opzioni e la libertà d’azione dei dirigenti politici quando si accingono a reinventare ancora una volta il loro Paese. Naturalmente esistono creatori di denaro statali rivali, valute alternative, concorrenti degli Stati Uniti che hanno avuto successo in molti campi. Esiste di per sé l’ambizione di forti potenze economiche mondiali ad emanciparsi dal dollaro e dal mercato finanziario statunitense. Esistono anche partenariati internazionali nell’ambito di una concorrenza furiosa, persino alleanze economiche tendenzialmente o esplicitamente anti-americane come l’Unione Europea o la Cina con la sua Nuova Via della Seta. Tuttavia persino questi sono – per il momento – ben lontani dal superare il ruolo esclusivo della potenza economica americana. E per la Russia, sia come membro dell’alleanza BRICS sia con le sue offerte di avvicinamento ai “Paesi vicini”, questo vale in misura ancor maggiore: le relazioni estere del Paese non si avvicinano a nulla di simile di un’alternativa al consolidato sistema imperialista di sovrani economicamente funzionalizzati. Con la sua ambizione di generare dal suo patrimonio socialista una crescita capitalistica sul mercato mondiale, la Russia sta in sostanza lottando per un posto – naturalmente eccellente – in questo sistema mondiale.
In questo modo si realizzano gli effetti a lungo termine del principio della libera concorrenza che la potenza economica mondiale americana ha imposto al mondo degli Stati come offerta per l’arricchimento privato e nazionale. Un’offerta che nessuno poteva rifiutare perché l’unica alternativa, il sistema di stampo sovietico del socialismo reale, è stata efficacemente combattuta e alla fine, anche con l’arma economica della corsa agli armamenti, fatta fallire. L’altra faccia di questa offerta senza alternative è – ed è stata fin dall’inizio – che gli Stati sovrani sono obbligati a portare avanti i loro sforzi per affermare i propri interessi contro gli altri, di usare e funzionalizzare le altre nazioni solo in questo modo, cioè in accordo con l’ordine commerciale americano per la concorrenza capitalistica così vantaggioso per la crescita del denaro, del credito e del capitale americano. Un divieto dell’uso della forza che non va confuso con la non-violenza, se non altro perché gli USA l’hanno fatto accettare come norma agli sconfitti e ai loro partner della seconda guerra mondiale sulla base della loro forza e potenza capitalista come vincitori della guerra. Contro l’Unione Sovietica, con il suo sistema effettivamente alternativo che comprendeva gli Stati di mezzo mondo, hanno imposto questo divieto con guerre per procura, guerre proprie e preparativi deterrenti per la guerra nucleare. Dopo la sua liquidazione, gli Stati Uniti hanno continuato a espandere il loro proprio sistema con la familiare combinazione di deterrenza e punizione esemplare nei confronti di ogni Stato che usava la forza a propria discrezione ogni volta che infastidiva “l’unica superpotenza rimasta”. Il fatto che questo regime venga scambiato per l’ordine di pace del mondo moderno non è né idealismo fuori luogo né mero cinismo. Riflette piuttosto la realizzazione di un sistema imperialista consolidato in cui gli Stati sono sottomessi per interesse personale all’obbligo, garantito in ultima istanza dagli Stati Uniti, di riconoscersi reciprocamente e, su questa base, di competere l’uno contro l’altro per appropriarsi e accumulare ricchezza nel denaro di credito americano, il dollaro. Allo stesso tempo, l’enfasi sulla pace chiarisce che le regole della concorrenza, applicate in tutto il mondo, non solo regolano le transazioni commerciali dei capitalisti e forniscono ai responsabili delle politiche economiche mezzi di estorsione puramente civili, ma devono anche essere rispettate come precetto per l’uso della forza da parte dei sovrani, come divieto dell’uso arbitrario della forza.
Questo è il punto decisivo in cui la Russia si scontra con il sistema mondiale imperialista realmente esistente e con la sua potenza protettrice. Con i mezzi commerciali che possiede e con gli strumenti di persuasione politico-economici di cui dispone, assume nella nomenclatura dell’imperialismo lo status e il rango gerarchico di un Paese emergente particolarmente potente e compete per ricchezza e influenza in base all’imperativo dominante della concorrenza – a seconda che glielo consentano, la riconoscano come concorrente capitalista o addirittura la stimino come fornitore e partner affidabile. In questa lotta per l’esistenza, del tutto conforme al sistema, la Russia si trova ripetutamente ostacolata, persino emarginata, dagli amministratori dell’intero sistema e fa così la conoscenza del duro, inconciliabile lato politico-pacifico del principio della concorrenza che sta rispettando: il divieto americano dell’uso della forza che sta sopra di esso. Questo avviene non perché inizi costantemente guerre, o lo faccia più spesso di altre scontente potenze del globo, ma perché la sua capacità di impiegare la forza militare all’interno degli Stati e tra di essi, di supervisionarla o addirittura di iniziarla, è di una qualità diversa rispetto alla militanza di altre potenze. La Russia è proprio l’unica potenza in grado non solo di mettere in dubbio localmente la garanzia globale di pace dell’America, ma anche di respingerla, e quindi di negarla in modo generale e fondamentale a livello di deterrenza strategica finale. Non solo ne è capace, ma ne trae la sua speciale pretesa di sicurezza e, più precisamente, di riconoscimento della sua libertà di garantire la propria sicurezza al massimo livello secondo i propri calcoli. E nemmeno solo la propria. Il Paese colloca programmaticamente la sua rivendicazione del rispetto dell’autonomia del suo potere e della sua sicurezza auto-definita, rispettata da tutte le parti, compreso anche l’Occidente e specialmente da esso, in un contesto politico globale che rende chiara la direzione della sua spinta e dovrebbe renderla chiara anche al mondo degli Stati. La Russia si offre come partner di alleanza a tutte le nazioni i cui interessi, a loro parere, vengono trascurati nel mondo dominato dall’America – a volte persino al latente anti-americanismo europeo – e allo stesso tempo sollecita il sostegno di sé stessa come potenza regolatrice indipendente, rispettabile e rispettata. La Russia vuole essere percepita, cioè essere utilizzata e riconosciuta come una potenza statale pronta e capace di fornire assistenza contro l’arbitrio occidentale ogniqualvolta le sovranità nazionali, a causa dei loro interessi di sicurezza nazionale interni ed esterni, si trovino sotto pressione di forze ostili americane o sponsorizzate dagli Stati Uniti. E non solo in casi speciali di particolare importanza per gli interessi russi. In generale, la Russia si impegna per arrivare a un ordine mondiale alternativo, cioè multipolare, che dia a tutti gli Stati la libertà di plasmare le proprie condizioni interne e le proprie relazioni estere in modo autodeterminato, cioè senza riserve anti-russe e senza il paternalismo occidentale. Certo, le sue relative iniziative dimostrano che la Russia sta combattendo un ordine mondiale stabilito, sia nei dettagli che in generale, che non rovescerà nemmeno in caso di sporadici successi. Ma questo non cambia nulla. Ciò che è incompatibile con la pace mondiale imperialista è il principio della politica russa: la pretesa incondizionata di essere, come potenza mondiale con capacità di deterrenza nucleare, padrone della definizione e dell’applicazione dei propri diritti nel mondo. Questa è la violazione fondamentale della proposta monopolistica, vale a dire dell’esigenza esclusiva degli Stati Uniti di assegnare, con la loro potenza militare globalmente superiore, a tutte le potenze sovrane del mondo la loro sicurezza, cioè il grado di sicurezza e di libertà d’azione militare che spettano loro secondo il giudizio americano.
La contraddizione fondamentale della Russia è che è e vuole essere comunque un partecipante attivo nel sistema mondiale dominante della concorrenza capitalistica, una parte prominente di questo ordine mondiale nato sotto il diktat del regime americano e che funziona – almeno per il momento – soltanto con i suoi imperativi quasi universalmente rispettati. In questo mondo organizzato in modo imperialistico, la Russia non è semplicemente una deviazione, ma la vera contraddizione esistente. Da una parte è una potenza capitalista, che lotta per la crescita capitalistica della sua economia secondo le regole procedurali dominanti e con i mezzi d’affari creati e controllati dall’America, e dall’altra è una potenza militare con armi nucleari, che si fa garante autonoma della sua sicurezza e che di conseguenza vuole essere riconosciuta come potenza strategica mondiale. Per il governo russo, ovviamente, questa contraddizione non esiste. Il governo russo trova sempre più difficile da accettare il fatto che l’Occidente lo stia mettendo sempre più duramente di fronte a questa contraddizione, in parte sfruttandolo come partecipante del mercato mondiale capitalista e in parte frenandolo (preferibilmente tutt’e due nello stesso momento) e ancora riconoscendolo sempre meno come potenza capace di una guerra mondiale, combattendolo sempre più offensivamente. La Russia non è in grado di risolvere la situazione in cui è stata messa dai suoi avversari imperialisti. Si sta opponendo a questa situazione, facendo dell’occupazione dell’Ucraina da parte della NATO e degli USA un caso programmatico e un palcoscenico per la sua resistenza. Ecco la ragione della Russia per questa guerra.
2. L’Occidente
– cioè la NATO, sotto la forte e risoluta guida degli Stati Uniti, in alleanza con l’Unione Europea, e il G7, non lascia dubbi sul fatto che la lotta dell’esercito ucraino contro le truppe russe sia la sua guerra. Non solo le dichiarazioni politiche appena al di sotto di una vera e propria dichiarazione di guerra, ma anche e soprattutto le azioni pratiche – una partecipazione attiva che ha trasformato l’“operazione speciale” russa in una guerra regolare – rappresentano molto di più di azioni di polizia mondiale in Paesi terzi, come le potenze impegnate le hanno già sovente messe e stanno mettendo in atto. Contro la Federazione Russa, inoltre, stanno comunque conducendo per decisione propria una guerra economica, esplicitamente annunciata come tale, e per giustificarla invocano il sacro diritto di autodifesa dell’Ucraina. Il loro motivo di guerra non è di natura così difensiva.
Ciò che l’Occidente sta realmente difendendo in Ucraina è, a ben vedere, l’ordine di pace europeo. La Russia non ha iniziato a violare questo ordine con l’invasione dell’Ucraina, neanche con il solo sostegno dei separatisti filorussi nell’est del Paese o l’annessione della Crimea. La sua violazione è stata di tipo più generale e politico. Questo è ciò che molti politici dell’Europa occidentale, sia ex che attuali, esprimono inequivocabilmente quando, guardando indietro, fanno autocritica per non aver contrastato con forza l’aggressività del governo Putin fin dall’inizio, incoraggiandolo invece con il desiderio di buone relazioni. In sostanza Mosca pecca contro quest’ordine di pace europeo non rassegnandosi alla progressiva dissoluzione dell’ex sfera di potere dell’Europa orientale e dell’Asia centrale “governata dal Cremlino”. Si oppone invece – diplomaticamente, con pressioni politiche e tentativi di ricatto economico, e militarmente con aiuti alle forze simpatizzanti e contro forze militanti antirusse – all’incorporazione, una dopo l’altra, delle nuove entità nazionali alla NATO e alla sfera di competenza dell’UE. La presa di posizione (decisamente bellicosa) a favore dell’Ucraina contro l’invasione russa, segue la linea generale di una risoluta espansione della NATO e dell’UE che va oltre l’integrazione attuale degli Stati dell’Europa orientale dell’ex Patto di Varsavia e delle Repubbliche Baltiche, rivolgendosi verso i territori, cioè i loro governi che la Russia rivendica come sua sfera d’influenza e cordone di sicurezza che l’Occidente le deve concedere. Di conseguenza, ciò che l’Occidente difende come ordine di pace dell’Europa non è solo la conservazione dei confini tradizionali – ironia della sorte, confini tracciati dall’ingiusto regime ex sovietico – e l’astensione da operazioni militari non autorizzate. Ciò che l’Occidente intende è l’indiscutibile pretesa legale della sua libertà d’azione politica, economica e militare, compreso lo stazionamento di armi per una guerra mondiale, (almeno) fino ai confini della Federazione Russa. L’identificazione di questo obbiettivo con la pace significa che non riconoscerlo rappresenta un atto non pacifico, assolvendo perciò l’Occidente dall’obbligo di evitare un comportamento bellico. La Russia, con i suoi interessi politici di sicurezza nei confronti della sua periferia occidentale, viene così definita a priori una piantagrane che non ha il diritto di partecipare alla formazione del mondo degli Stati europei, cioè alla definizione delle loro relazioni interstatali e delle loro condizioni interne. Deve quindi essere respinta, estromessa dalla legittima competizione delle potenze che hanno la presa sul vecchio continente. L’Occidente, facendo della guerra in Ucraina il proprio business, sta portando avanti questa decisione di incompatibilità che in realtà è stata presa molto tempo fa.
Il Presidente degli Stati Uniti colloca questa insofferenza nei confronti del potere russo in un contesto strategico molto ampio: vuole fare della Russia in Ucraina un esempio facendola diventare il simbolo di un conflitto mondiale generale tra il regime democratico e quello autocratico che non ammette alcun compromesso. Per quanto vaga sia l’etichettatura politico-morale, la sua distinzione è sufficientemente chiara per la pratica (geo)politica mondiale, sia per quanto riguarda la questione di quali regimi appartengano definitivamente alla parte nemica, sia per la severità con cui in questo caso viene non solo annunciata, ma aperta una posizione frontale che obblighi tutti i sovrani che non vogliono essere classificati come – almeno tendenzialmente – ostili, a schierarsi contro la Russia. Quali siano le conseguenze pratiche per ogni singolo caso, non bisogna nemmeno deciderlo immediatamente. Per l’Europa e soprattutto per i partner americani della NATO, invece, le conseguenze sono ovvie: l’alleanza di guerra deve affermarsi come tale fin dall’inizio ed essere all’altezza della situazione. La prima cosa necessaria è l’unità incondizionata sotto la guida americana. Che cosa significhi in termini militari lo mostra l’escalation della guerra, procedendo con straordinaria spietatezza la guerra economica, anche per quanto riguarda i costi da sostenere dall’Occidente stesso. In entrambi i casi, il fattore decisivo è che l’impegno deve diventare permanentemente efficace e deve essere di lunga durata.
In questo senso, la ragione dell’Occidente per la guerra è chiara: con l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha esagerato nel difendersi dal suo sempre più stretto accerchiamento strategico-militare da parte dell’Occidente e dalla sua progressiva estromissione da qualsiasi influenza sul regime politico europeo. Il diritto preteso dagli Stati Uniti, dalla NATO e dall’Unione Europea di disporre in via esclusiva della definizione e del contenuto della pace, in Europa e nel mondo, cioè che loro decidano in via definitiva la portata degli interessi statali e, in particolare, il riconoscimento o la contestazione, o la concessione condizionata delle legittime pretese di sicurezza degli Stati sovrani, richiede un’azione che gli restituisca pieno vigore e quindi anche un forte giro di vite nel caso specifico. La posta in gioco per l’Occidente è l’indiscutibile credibilità del suo potere e l’affidabilità della sua volontà di sottoporre alla sua riserva generale il bisogno di forza e l’uso di questa nel mondo degli Stati e di farli dipendere dalle sue licenze e garanzie. I rappresentanti dell’ordine democratico mondiale dell’America e dell’Europa occidentale non devono assolutamente permettere una tale perdita di controllo, nemmeno nella minima possibilità.
Per loro, questo tipo di atti dimostrativi di violenza per la buona causa non sono una novità. Dopo la fine del confronto dell’Occidente con l’Unione Sovietica e i suoi alleati, che è stato chiaramente costitutivo per l’Occidente e ha diviso il mondo in due schieramenti politici, gli Stati Uniti hanno considerato necessarie azioni del genere – non di rado contro le loro stesse creature e al bisogno con gli “shock and awe” – e le hanno messe in scena non solo per eliminare singoli governi inadeguati, ma con l’obiettivo di far rispettare e ancorare l’istituzione del loro monopolio sull’ordine mondiale: al posto del superato “bipolarismo”, un “nuovo ordine mondiale” sotto la direzione dell’“unica superpotenza rimasta”, gli USA. Quello che gli Stati Uniti e la Nato stanno facendo “contro Putin” in Ucraina è di questo tipo, anzi a un livello di escalation ben superiore a quello di un’operazione di polizia mondiale come in molti altri casi. È ovvio però che tutto questo non spiega ancora completamente la ragione per questa guerra che l’Occidente sta conducendo in quel paese, ossia per il modo in cui la conduce. Perché, invece di una grandiosa messa in scena della propria superiorità, l’Occidente aggiunge una revoca al suo doppio intervento – quello militare con armi vecchie e nuove, comprese le informazioni e le direttive per il loro uso appropriato, quello civile con sanzioni economiche mirate alla distruzione della Russia. Dichiara che quello che sta facendo non è un intervento degli Stati Uniti, non è un intervento della NATO, e certamente non è il preludio di una Terza Guerra Mondiale. Si tratta solo di aiuto e di sostegno, certamente affinché gli ucraini vincano, caccino l’esercito russo, ripristinino i confini ereditati dall’epoca sovietica e quindi difendano la democrazia per eccellenza. Ma tutto questo come decisione sovrana di Kiev. Secondo la definizione ufficiale, le forze armate occidentali non agiscono in modo direttamente e attivamente belligerante; al massimo agiscono un po’ in una zona grigia del diritto internazionale, ma in ogni caso senza giustificare eventuali attacchi russi contro di loro. Ciò che una democratica opinione pubblica in Europa, moralmente istigata alla guerra, prende principalmente come un tentennamento del tutto fuori luogo, non toglie in realtà nulla all’obiettivo bellico di portare a compimento l’estromissione della Russia dalla sua pretesa zona di influenza e sicurezza e di ridurre notevolmente la sua base di potere. È proprio per questo che l’Occidente non vuole risultare responsabile per quello che è, cioè il soggetto strategico decisivo. Tuttavia, sta seguendo esattamente questo scopo. Infatti, formulando i suoi obiettivi di guerra come quelli dell’Ucraina, si sta impegnando proprio in ciò che rifiuta con indignazione quando la propaganda russa lo chiama col suo nome: fa combattere altri, fa una guerra per procura, usando l’incontenibile disponibilità dell’Ucraina a fare la guerra. Una guerra per procura: non, come di solito accadeva in passato, contro un mandatario dell’effettiva potenza nemica, ma direttamente contro quest’ultima. Nello stesso modo doppiogiochista, l’Occidente attribuisce alla guerra economica, che sta conducendo contemporaneamente di propria iniziativa e con ruoli suddivisi, lo scopo bellico di danneggiare in modo irreversibile la potenza russa, negandole però la qualità di una guerra con un eventuale potenziale di escalation verso una guerra mondiale.
La prima ragione di questa singolare abnegazione non è un segreto – di certo non per i guerrafondai occidentali, ubriachi del loro valore, che trovano in essa l’alibi per la pura vigliaccheria –: l’Occidente si sta mettendo contro una potenza nucleare che a modo suo calcola una Terza Guerra Mondiale ed è in grado di distruggere il mondo tanto quanto gli Stati Uniti. La NATO deve tenere conto di questo aspetto nella difesa avanzata della sua volontà di pace imperialista. Lo fa – e come! Gli Stati Uniti hanno notato che il loro potere di deterrenza non dissuade la Russia dal dispiegare le proprie forze armate nel punto nevralgico dell’espansione a est della NATO e dell’UE, ma neanche hanno seriamente minacciato con la loro capacità e prontezza di condurre una guerra mondiale totale. L’Ucraina non ne vale per il momento la pena, nonostante sia un attraente pezzo di “difesa avanzata”. Questo tipo di difesa lo riservano ad ogni centimetro del territorio dei loro alleati nella NATO, che a loro volta devono sapere cosa aspettarsi se il peggio dovesse arrivare. Al contrario, neanche il potere di deterrenza della Russia impedisce alla NATO di condurre una guerra per procura contro lo scomodo nemico. Se quest’ultimo inizia un’“azione militare speciale” in Ucraina, allora deve anche avere luogo la guerra per l’Ucraina e per il diritto illimitato dell’Occidente sull’Europa; questa è la volontà dichiarata e praticamente attuata degli sponsor e dei fornitori occidentali del Paese. E questo rende ancora più chiara la ragione positiva dell’accurata distinzione tra le potenze della NATO come principali parti interessate agli eventi e l’Ucraina come parte effettivamente belligerante soltanto grazie al sostegno occidentale. L’Occidente si mette così nella condizione di spingere, con la sua controffensiva, l’indebolimento del suo principale nemico fino alla capitolazione, almeno fino a chiarire efficacemente che ribellarsi all’ordine di pace continentale e globale dell’America e dell’Europa non conviene assolutamente, pur mantenendo nello stesso tempo il controllo sull’escalation che in quel modo rischia. L’Occidente conserva la libertà di valutare il rispettivo stato di distruzione reciproca dell’Ucraina da un lato e della potenza militare russa dall’altro, oltre alla forte riduzione della potenza economica russa, e di dichiararlo, a sua discrezione, come obiettivo della guerra. Fino a che punto fosse disposto a spingersi forse non era chiaro all’inizio, ma lo è diventato dopo solo poche settimane di guerra: fornendo armi e “guidando da dietro”, l’Occidente si sta dirigendo verso il risultato militare di infliggere in Ucraina una chiara sconfitta alle forze armate russe e di rendere impossibile per il momento una nuova azione sulla scala della loro “operazione militare speciale”. Con sanzioni economiche sempre più severe, che non solo colpiscono i beni commerciali della Russia, ma impediscono anche la sua partecipazione alle transazioni monetarie internazionali, cioè il significato e lo scopo economico della sua partecipazione al mercato mondiale, si vuole paralizzare la crescita capitalistica da cui lo Stato russo ha fatto dipendere la sua società e quindi il suo potere, garantendo così di togliere durevolmente alla nazione la sua potenza.
In questo modo l’Occidente si sottrae a un confronto diretto con l’avversario che potrebbe portare a una guerra mondiale e rimane libero di calcolare e condurre una guerra di risorse sempre più dura da una posizione di superiorità di cui non potrebbe essere altrettanto sicuro in una guerra nucleare. Le risorse umane sono fornite dall’Ucraina, gratuitamente e con molta moralità nazionalista. Che la Speaker della Camera USA Nancy Pelosi, come lo fanno altri politici occidentali ininterrottamente, ringrazi personalmente e calorosamente il presidente di Kiev per il suo eroismo e la sua disponibilità a fare sacrifici nell’interesse della democrazia, è opportuno e giusto, e solo da un punto di vista oggettivo è profondamente cinico. Gli arsenali bellici dei soli europei attingono a un patrimonio di risorse, ovvero all’eredità dei reciproci preparativi di guerra dell’epoca della lotta contro il comunismo; persino le armi real-socialiste del Patto di Varsavia sono ancora abbastanza utilizzabili dopo tre decenni. Le multinazionali capitaliste degli armamenti sono comunque pronte. Gli Stati Uniti stanno riattivando la base giuridica che è servita come base legale per le sovvenzioni materiali alla Gran Bretagna e all’Unione Sovietica nella Seconda Guerra Mondiale, ancora prima della loro entrata in guerra che ribaltò la situazione sui fronti (il Lend-Lease Act del 1941) e stanno, a differenza di allora, inviando rifornimenti in modo gratuito e fornendo tutto ciò che ritengono necessario loro. Infine, il bene a doppio uso per eccellenza, il denaro, sta facendo il suo lavoro. Non solo i bilanci degli armamenti delle democrazie occidentali superano di 10-20 volte quelli russi; nel caso delle finanze a disposizione dello Stato, l’inesauribilità reale dei mezzi dell’imperialismo del dollaro fa contrasto con il progressivo esaurimento della solvibilità russa e la sua parziale inutilità, causata dalle sanzioni. Non si tratta solo di una differenza quantitativa: la Russia dipende per la sua ricchezza capitalistica dal potere d’acquisto internazionale nella moneta dei suoi nemici e quindi da un traffico monetario da cui viene gradualmente esclusa; gli Stati Uniti e i suoi potenti rivali alleati godono di un riconoscimento immediato dei loro debiti, praticamente in ogni ordine di grandezza, da parte del mondo economico internazionale, che finanzia la propria crescita capitalistica ricorrendo al dollaro, e da parte degli Stati che hanno nel dollaro la base, cioè la garanzia di valore, della loro moneta di credito nazionale. In quest’ottica, i 50 miliardi di dollari con cui l’America sta acquistando l’Ucraina in una prima tranche sono noccioline per la potenza mondiale. Gli oneri che si accumulano anche nelle democrazie occidentali sotto forma di svalutazione generale si distribuiscono felicemente come da soli tra i Paesi partecipanti all’economia mondiale in base al loro potere finanziario – e comunque tra i loro abitanti. Questo è ciò che vuole la giustizia capitalista, i cui valori l’Ucraina difende così valorosamente.
Tuttavia, ciò che l’Occidente sta facendo è un’impresa azzardata senza modello né copione da seguire. Sta avviando il depotenziamento, cioè la distruzione del potere di uno Stato che non solo ha un esercito convenzionale, contro il quale la NATO fa combattere l’Ucraina con la fornitura di un numero sempre maggiore di proprie armi, ma possiede anche le attrezzature sofisticate necessarie per una guerra mondiale nucleare, ossia la capacità di infliggere a qualsiasi avversario, compresi gli Stati Uniti, non una sconfitta che possa in qualche modo ancora essere sfruttata, ma un danno inaccettabile, anche se al prezzo della sua stessa distruzione. La strategia dell’Occidente di evitare in modo calcolato questo rischio, non lo fa scomparire. E’ sempre presente nelle ripetute assicurazioni degli Stati Uniti che un’escalation in questa direzione non è assolutamente in programma. Allo stesso tempo, però, proprio questo rischio è il motivo per cui questa potenza mondiale non si tira indietro, ma sta verificando fino a che punto può spingersi con l’Ucraina e, senza combattere con armi strategiche, portare la Russia a una sconfitta da cui non può riprendersi. Gli Stati Uniti quindi si permettono questa contraddizione. Da una parte evitare il passaggio a una guerra mondiale finale – e per un buon motivo: la loro ragione di Stato imperialista si basa sul dominio ai fini dello sfruttamento capitalistico del mondo – e, dall’altra, contestare al nemico, contro il quale tale guerra è calcolata e organizzata fino negli ultimi dettagli, ogni coesistenza – per lo stesso motivo: la loro ragione di Stato imperialista esige il dominio delle potenze sovrane nel mondo ai fini dello sfruttamento capitalistico.
Questo imperativo non è né un’arbitraria decisione di un “America first!” a marchio Trump, né è la sua applicazione militante contro la Russia, frutto di una “nostalgia della Guerra Fredda” della generazione Biden. L’imperialismo americano consiste nel vincolare gli Stati a obbedire alle regole della concorrenza per la ricchezza capitalistica. Devono perseguire i propri interessi nazionali di ricatto e intimidazione contro i propri simili solo in questo modo e non devono usare oltre i loro confini la propria forza militare che, certo, fa ancora parte dello Stato ed il suo monopolio del potere per esercitare la sovranità sul Paese e il suo popolo e per delimitare i suoi possedimenti legali – vale a dire che è permesso loro far uso della forza solo allo scopo di far rispettare e mantenere questo ordine di pace, cioè per conto o su licenza del massimo autore, custode e beneficiario di quest’ordine. Questa ragione di Stato imperialista del mondo “americanizzato” è semplicemente incompatibile con l’esistenza di una seconda potenza in grado di riservarsi la decisione di sottomettersi all’ordine mondiale dominante degli affari e della pace. Ed è proprio questo che è la Russia: una potenza militare mondiale che non si farà attribuire il proprio status di sicurezza, ma che insiste nell’essere padrona assoluta delle sue decisioni. Ciò rende questo Stato indigesto per la pace mondiale imperialista – e allo stesso tempo rende praticamente inapplicabile la decisione di incompatibilità. Nella potenza militare mondiale della Russia coincidono l’impossibilità e la necessità della sua eliminazione.
La guerra in Ucraina è, a sua volta, il chiarimento pratico che questa contraddizione per l’Occidente non è un dilemma, ma che rappresenta un problema la cui soluzione, non potendo essere ottenuta direttamente, deve essere avanzata tanto più consapevolmente con mezzi che non sono di per sé sufficienti. In questo contesto, bisogna considerare che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno a che fare con un loro simile: una potenza statale, che sacrifica le vite umane, siano esse dei suoi cittadini o dei nemici, quando è messa a repentaglio la propria sicurezza. Una potenza che sa anche, come gli Stati Uniti, che il suo potenziale nucleare può funzionare solo se la sua volontà di usare le proprie armi fino all’ultimo è fuori discussione, nel caso si verificasse l’evento per cui sono state create; un evento da prevenire con la minaccia del loro impiego. Di conseguenza, l’America e gli amici in Ucraina stanno lavorando con prudenza per creare un mondo in cui la Russia esista ancora, ma solo come ombra di sé stessa, sostanzialmente indebolita per quanto riguarda i suoi mezzi militari ed economici.
3. L’Ucraina
sotto il comando del suo presidente Zelensky, che ora si ritrova improvvisamente nel ruolo di comandante, ha una sua ragione per la guerra che non si risolve con la sua funzione per l’Occidente né nella difesa dall’aggressione. Per il governo di Kiev ogni battaglia che è pronto a combattere, documenta la bellicosa volontà dello Stato di difendersi; ogni combattente, vivo o morto, è un rappresentante di essa; ogni apparizione del presidente davanti a un parlamento straniero, anche se solo virtuale, e ogni visita di un politico straniero sono la prova che il mondo vuole lo Stato ucraino e ne ha bisogno e che lo riconosce come un importante soggetto autorizzato alla continua richiesta di armi di qualsiasi calibro. Ciò che l’Ucraina mostra in modo così aggressivo ha la sua equivalenza e la sua base nel modo intransigente in cui il comandante tratta il suo popolo: non offre nessuna clausola di apertura per un’intesa con l’aggressore; villaggi e città vengono difesi fino alla loro completa distruzione – o fino alla ritirata russa; le vie di fuga dei civili verso la Russia vengono considerate come rapimento di persone e vengono bloccate; agli uomini in grado di prestare servizio militare viene negato il permesso di lasciare il paese – tutto secondo il motto: Non ci arrenderemo! Niente di tutto questo è nuovo o molto diverso da ciò che accade di solito quando un sovrano ordina ai suoi cittadini di uccidere e morire. Ciò che colpisce, tuttavia, è che tutto questo ha il carattere di una dimostrazione di cui l’Ucraina ha in qualche modo bisogno. Essa vuole a tutti i costi rifiutare il giudizio della Russia secondo cui l’Ucraina in realtà non è uno Stato sovrano, con confini che sono un prodotto artificiale dei bolscevichi, incapace di sopravvivere da sola, e con metà della popolazione russofona; con parti del Paese già dichiarate repubbliche e con la Crimea annessa che si trovano in mani migliori di quelle di Kiev. Quindi il governo ucraino non è realmente padrone nel suo – presunto – Paese, rendendo l’invasione russa non una propria aggressione a un altro Paese, ma una “operazione militare speciale” contro un dominio illegittimo che, per questo, viene etichettato come regime nazista. C’è un bel po’ da negare da parte ucraina. E naturalmente gli argomenti di giustificazione russi vengono respinti come costruzioni ideologiche, l’invasione viene bollata come imperialismo della Grande Russia. Ma proprio questa accusa contiene un elemento di ammissione, perché si riferisce a una realtà amara dal punto di vista nazionale ucraino: l’esistenza di uno Stato ucraino sovrano non è del tutto scontata. Il fatto che essa, già per uno dei tre decenni di autonomia ucraina, sia stata praticamente contestata dal potente vicino, con l’annessione della Crimea e il violento distacco delle zone orientali del Paese e ancor più con un’invasione che mira a relativizzare la sovranità del Paese, è più che un atto di propaganda. Per molti Stati, la separazione delle Repubbliche popolari filorusse e della Crimea ha creato uno status quo da accettare e per molti importanti politici mondiali, in particolare quelli che hanno organizzato l’accordo di Minsk per pacificare la situazione – e che ora vengono accusati di questo come una sorta di alto tradimento –, questa è stata il punto di partenza e il materiale per una politica d’ordine antirussa con un obiettivo completamente diverso e di ben più ampia portata rispetto a quello di uno Stato ucraino intatto. Soprattutto, però, il potere statale di Kiev non vede sé stesso semplicemente come una potenza indiscutibilmente sovrana nei confronti di un aggressore completamente straniero, ma come la prima vittima degli imperialisti della “Grande Russia”, che poi si abbatteranno su altre repubbliche ex sovietiche. Kiev definisce la propria autonomia in relazione alle pretese prepotenti della stessa potenza leader di cui il Paese era fino a poco tempo fa parte integrante e da cui non si è ancora definitivamente sottratto.
Proprio di quest’ultima cosa, e cioè della persistenza di elementi di coesione epocale delle Repubbliche Socialiste Sovietiche sotto il regime del Cremlino, l’Ucraina se ne accorge non solo subendo delle prepotenze e aggressioni da parte del successore legale dell’ex potere centrale. Ciò in effetti ha determinato in modo molto concreto e altamente negativo la sua costituzione economica e politica fin dall’inizio del processo di emancipazione dallo Stato sovietico. Quando le componenti dell’ex economia real-socialista pianificata sovietica, situate nell’ex Repubblica sovietica ucraina, sono state nazionalizzate, questo ha distrutto i contesti di cooperazione da cui dipendono la forza produttiva o addirittura la produzione dell’industria del Paese e il suo approvvigionamento. Il rublo socialista è stato sostituito da una moneta nazionale priva di valore internazionale e la divisione del lavoro fra le Repubbliche sovietiche è stata sostituita da un regime monetario e creditizio basato sull’euro e sul dollaro. Le ricchezze materiali del Paese, compresi i terreni agricoli di grande interesse commerciale, i resti dell’economia pianificata di una volta, lasciati dalla separazione della nuova nazione dalle vecchie Repubbliche sovietiche, ormai relazioni estere, sono state trasformate in proprietà capitalistica, privatizzate in linea col cambiamento di sistema. In questo processo, alcune componenti sono state aperte ad acquirenti del dorato Occidente, mentre la proprietà di altre è diventata la base di attività commerciali di un gruppo di oligarchi che ne hanno tratto il meglio per sé stessi, i loro clan familiari, i loro clienti e i loro aiutanti e creature politiche. Quando i rappresentanti responsabili del potere statale, ora sovrano, hanno provato a plasmare questo caos di interessi conflittuali in un’economia nazionale, hanno finito per aggiungere al sistema dell’economia di mercato internazionale, un altro modello di crescita capitalistica, che fallisce su scala nazionale, non utilizza in modo appropriato il popolo lavoratore, non lo nutre e, secondo il giudizio competente dei suoi mentori stranieri, è caratterizzato dalla corruzione – essendo questo il titolo generale per un sistema economico di dipendenze personali capitalisticamente improprie e improduttive. Al di sopra di questa economia risiede un’autorità pubblica che, dal punto di vista delle Potenze protettrici interessate a rapporti di dominio capitalistici funzionali, è caratterizzata dall’incertezza giuridica. In termini positivi, ciò significa che la promulgazione delle leggi e l’imposizione dell’ordine pubblico, formalmente e intenzionalmente costruite secondo il modello degli Stati borghesi, con procedure di potere democratico e separazione dei poteri, sono in realtà portati avanti da ricchi individui privati con i loro metodi violenti e ricattatori in funzione dei loro interessi particolari.
Dal punto di vista formale qualcosa che ha le sembianze di un ordinamento politico nazionale, democratico e costituzionale con un’economia capitalista ha preso il posto dell’ex repubblica sovietica. Ma quando si arriva al contenuto fondamentale e decisivo di uno Stato borghese, il potere monopolistico esercitato su tutto il Paese con la sua popolazione e tutti gli oggetti e beni relativi al patrimonio nazionale, su materiale umano e risorse economiche, sulla ricchezza produttiva e sul suo utilizzo, esiste solo come progetto. In realtà al massimo è un oggetto di disputa tra partiti che sono essenzialmente definiti dagli interessi particolari privati dei loro sponsor, clienti e leader. Fin dall’inizio della sua carriera come nazione non esiste in Ucraina alcuna autorità esclusiva rappresentante una volontà statale universalmente valida, che domini la nazione in modo esclusivo ed efficace e per la cui esecuzione i partiti politici competano secondo le regole. E nemmeno, come nella maggior parte delle altre repubbliche ex-sovietiche emancipate a livello nazionale, questa autorità viene esercitata da un autocrate che si alterna nel suo strapotere, se necessario, con una figura alternativa dello stesso calibro. Il fatto che l’Ucraina esista e possa essere considerata una nazione è opera dei due principali contraenti stranieri, che hanno interesse al possesso e all’uso politico, economico e strategico-militare del Paese, cioè proprio dell’intero Paese. La Russia rivendica il legittimo diritto di esso in quanto successore legale riconosciuto del grande Potere sotto cui, come una sua parte, l’Ucraina è dapprima diventata un soggetto politico che di seguito ha voluto e dovuto diventare uno Stato nazionale. La Russia ha aiutato il Paese a sopravvivere grazie ai residui dell’ex divisione del lavoro sovietica e alle tariffe di transito per il gas naturale. L’Occidente, da parte sua, ha tratto dalla distruzione dell’Unione Sovietica il diritto di utilizzare il Paese come avamposto per un accerchiamento sempre più stretto della potenza militare di Mosca, nonché di incorporarlo politicamente, giuridicamente ed economicamente nell’UE, cosa che sta distruggendo pezzo per pezzo l’industria del Paese. In cambio, finanzia lo Stato con prestiti, mandando in rovina con le condizioni annesse i resti della cooperazione economica con la Russia e i mezzi di sussistenza della nazione; inoltre, sta costruendo un esercito attorno al quale dovrebbe essere possibile costruire uno Stato nazionale anti-russo. Ciascuna parte ha anche una corrispondente ragione di Stato da offrire al Paese: una costituzione non solo in senso giuridico ma anche solidamente materiale, che sarebbe costitutiva per una nazione ucraina, facente parte del “vicino estero” russo e partecipante ad un capitalismo russo che sarebbe a quel punto fiorente. Oppure un Paese NATO fortemente armato sotto il regime dell’ordinamento giuridico dell’UE, che aprirebbe al Paese una carriera come oggetto di investimento a basso salario per le imprese occidentali. Nessuna delle due parti ha prevalso e instaurato secondo la propria ragione di Stato una tale volontà nazionale con il corrispondente monopolio del potere. Il progressivo contenimento dell’influenza russa non ha affatto trasformato la feroce disputa interna ai partiti ucraini in un regime consolidato e impegnato in una funzionalità filo-occidentale, e malgrado la controparte russa abbia praticamente ridotto le sue pretese territoriali alla Crimea e a una parte dell’Est, rendendole reali militarmente, in linea di principio non ha affatto rinunciato a rivendicare l’intero Paese. Anche il governo Zelensky, salito al potere come oggetto di investimento di un oligarca risoluto e con un programma che prometteva finalmente alla popolazione la pace, l’abrogazione della legge anti-russa sulla lingua e molte altre belle cose, è rimasto, con la portata del suo potere, la variabile dipendente della disputa sul recupero strategico del Paese da parte della Russia e dell’Occidente, una disputa che si riflette all’interno del Paese nella lotta tra i partiti sull’orientamento politico fondamentale del Paese e su come ottenere un potere statale che possa effettivamente impegnare tutte le forze politiche in un consenso nazionale di base.
Questo è stato cambiato dalla guerra tra Russia e Occidente per l’Ucraina. Il governo Zelensky conta sull’interesse dell’Occidente per il suo Paese come il prossimo avamposto contro il nemico russo, un interesse che gli Stati Uniti in particolare stanno dimostrando attivamente da anni con la formazione di una forza armata ucraina. L’invasione russa viene interpretata da Zelensky come una sfida e un’opportunità per assumere il ruolo di comandante militare e per subordinare il Paese e il suo popolo, gli interessi sociali e i partiti politici in modo rigido e senza compromessi al suo comando. Il fatto che il suo territorio sia in parte distrutto e in parte occupato dalle truppe russe è un’opportunità storica per sottoporre il suo popolo al suo controllo in un modo che nessuno dei governi precedenti, compreso il suo fino a quel momento, era riuscito a fare. Sia gli oppositori che simpatizzano ancora per la Russia, sia le fazioni e le forze del Paese – compresi gli oligarchi – che puntano a collaborare con il grande vicino vengono eliminati. L’opinione popolare viene messa in riga – o lo fa di sua iniziativa – come si confà ad una società in stato di guerra e di emergenza. Il presidente comanda con pugno di ferro, organizza il necessario odio verso i russi e si presenta al pubblico come un modello di prontezza bellica.
Con la sua guerra, condotta con i mezzi che l’Occidente gli concede, il governo sta in effetti gestendo la contraddizione che l’Ucraina rappresenta allo stato attuale: uno Stato senza un monopolio evidente, efficace e universalmente riconosciuto all’uso legittimo della forza; un governo senza una reale sovranità al di sopra degli interessi dei diversi partiti; una nazione senza una ragione di Stato che, come punto di riferimento e criterio, vincola tutti gli interessi sociali di una certa validità; un popolo che non viene effettivamente utilizzato dalla sua suprema autorità, un popolo per il quale questa autorità rappresenta più un ostacolo che uno strumento utile a sostegno della propria riproduzione, un popolo a cui manca una coscienza nazionale, un “noi” nazionale indiscutibilmente praticato. La guerra costringe a dei progressi: innanzitutto il consolidamento di un potere statale nazionale, sovrano sia all’interno che all’esterno, sovrano contro un vicino finora più potente, sovrano su tutto il Paese nei suoi confini ereditati dall’epoca sovietica con la popolazione e tutte le risorse che ne fanno parte. Le persone sono utilizzate, in un modo omicida e che mette in pericolo le loro vite, come vittime o esecutori di atti bellici o entrambi allo stesso tempo, e non hanno alternative se non quella di tenere duro nei riguardi dell’aggressore e di sopportare sia l’aggressione che la controffensiva. La guerra trasforma gli abitanti del Paese, volenti o nolenti, in personificazioni dell’identità ucraina – e fa di tutti quelli che vogliono sottrarsi a questa premessa di vita dei nemici anti-nazionali dello Stato e del popolo. In qualità di incorporazione della volontà del popolo, che in tal modo viene creato, esso si appropria della terra e delle persone: dell’intero paese, che riconquista, e di tutte le persone, che non esclude. Questa è la forza produttiva della guerra per l’Ucraina: una guerra per la fondazione dello Stato che è ovviamente necessaria per una completa Nation-Building, anche se poi della nazione non resta più nulla.
Naturalmente, è anche un po’ contraddittorio che l’emancipazione nazionale dell’ex repubblica sovietica sia un incarico su commissione da parte degli imperialisti, e che il suo successo – qualora avvenisse – sia un successo per grazia straniera. Per gli imperialisti che hanno commissionato il lavoro, tuttavia, i due lati della contraddizione si integrano bene. Se creeranno in Ucraina un potere statale nazionale che, con mezzi regalati, stabilisce la propria sovranità all’interno del paese su un popolo forzatamente unito dalla guerra, un potere statale che si afferma all’esterno contro la Russia, in accordo con le linee guida americane, e che, come candidato all’UE, si lascia alle spalle la propria origine, sempre presente, dall’Unione delle tante Repubbliche Socialiste, allora questi imperialisti avranno a loro disposizione anche lì – come avviene in tutto il mondo – un governo locale che garantirà nel suo territorio ben definito, anche se per mera autoconservazione, almeno i prerequisiti basilari per lo sfruttamento imperialistico della regione: cioè legge e ordine, il regime della proprietà privata e un popolo non necessariamente utilizzato ma utilizzabile. Se poi il patriottismo ucraino comprende e accetta questa funzione della patria per l’Occidente interpretandola come il servizio dell’Occidente per l’Ucraina, per la sua nuova ostilità verso la Russia, tanto meglio. Per l’Ucraina come Stato nazionale alle prime armi, anche questo è un passo nella giusta direzione. Come conseguenza della guerra, che deve e può condurre, i beni e le risorse del Paese, le condizioni di vita dei suoi abitanti e una notevole parte di essi vengono rovinati; ma con essa si stabilisce il potere politico come sovrano con la propria ragione di Stato filo-occidentale, anti-russa, conforme alla NATO e all’UE, e questo con un risultato che diventa tanto più duraturo quanto più il governo mette a dura prova il suo popolo. Il suo monopolio all’uso della forza e la sua ragion d’essere nazionale non risentono del fatto che tutti i mezzi materiali destinati ad esso devono provenire dall’Occidente.
Per gli eroi di Kiev, che vogliono passare alla storia come i nuovi fondatori di un’eterna Ucraina, non è comunque una contraddizione se per l’ambizione di governare, per la dignità e la portata del loro potere diventano servi dei loro padroni e fornitori stranieri. Al contrario, Zelensky e i suoi trovano del tutto normale che la loro totale dipendenza li renda così importanti. Prendono la loro situazione come un’opportunità e il ruolo di vittima che impongono al loro popolo come un diritto incondizionato per comportarsi di fronte ai loro sponsor, come fosse il contrario, come fossero loro, celebrati da un’indignata opinione pubblica con una moralità bellica, i combattenti per gli alti valori dell’umanità, la democrazia e cose simili, e di conseguenza fossero autorizzati a dare ordini ai loro fornitori occidentali di aiuti militari secondo le loro necessità.
E, alla fine, anche questo fa semplicemente parte del gioco se l’Ucraina con la sua guerra – in caso di successo – riuscisse a lasciarsi alle spalle lo status di nazione incompiuta.
Traduzione dell’articolo “Die drei Gründe des Ukraine-Kriegs”
GegenStandpunkt 2-22