Editoriale
Il mondo sta vivendo la guerra in Ucraina. Assiste a gli Stati che passano sui cadaveri per far rispettare la propria sopravvivenza – sono essi stessi che definiscono cosa intendono per e qual’ è il contenuto di questo “proprio”. E la gente, in tutto il mondo e soprattutto in Europa, sta reagendo: schierandosi con un incondizionato auto-impegno morale da una delle parti.
Troppo difficile da capire?
Le cose non migliorano quando le riflessioni personali arrivano alla saggia conclusione che nessuno dei poteri che combattono l’uno contro l’altro merita una assoluta condivisione. Ci si accorge di come gli Stati dispongono delle vite umane quando fanno sul serio con il loro antagonismo; ci si accorge – anche se si ha la fortuna di non essere lì – della propria totale impotenza di fronte alle brutali decisioni statali. E poi ci si immagina come un giudice che decide sul bene e sul male dell'uso del potere da parte degli Stati; si contano i morti, si constata la devastazione e ci si sente chiamati a rispondere in tutta serietà alla domanda: Sono autorizzati a farlo?
Certo, in questo paese sono nella minoranza quelli che si pongono questa domanda; perché l’affermazione che gli Stati in guerra producono giornalmente morti – cioè mostrano di cosa sono capaci come potenze sovrane – non è la questione in ballo, qui una parte attacca e l’altra invece si difende solo: è quindi quella buona e merita indiscutibilmente una scelta di campo. Per cui ancora una volta: In Ucraina, la devastazione è in atto, la gente si ammazza e muore, perché gli Stati usano, cioè sperperano, la vita del proprio popolo e di quello degli avversari, definendo il tutto come il loro sacrosanto diritto, che è incompatibile con lo stesso diritto che il nemico pretende per se. E proprio per questo, perché in una tale situazione non si è indifferenti, sarebbe inevitabile a livello personale prendere posizione per una parte e contro l'altra? Uno impara che cosa conta una persona privata in guerra, cioè niente, e augura alla guerra il giusto esito? Si è allora ancora in possesso delle proprie facoltà mentali?
In Ucraina si scontrano le due potenze mondiali militari che si sono procurate in abbondanza dei mezzi militari e hanno già pianificato e preparato il loro uso per uccidere una gran parte dell'umanità, addirittura potrebbero distruggere le condizioni di vita sulla terra nella fase finale del loro scontro bellico. Nel “caso” dell’Ucraina stiamo constatando un primo passo dal ricatto bellico alla distruzione bellica, come è segnato nella dottrina di guerra delle due potenze mondiali; l’entrata nell’escalation, il cui punto finale – ce lo assicurano entrambe le parti – non deve mai avvenire. Eppure lo minacciano così seriamente che i responsabili si mettono in guardia a vicenda di non farlo sul serio – il modo diplomatico di minacciarsi a vicenda.
È proprio necessario che ci si debba schierare a livello personale a favore di una parte? Proprio nel momento in cui è inequivocabilmente chiaro come gli Stati vedono e gestiscono la relazione fra il loro diritto, sovranamente definito, di esistere e il materiale umano la cui differenza dipende solo dal suo vestito nazionale? O si dovrebbe ancora una volta, in una saggia valutazione, dare torto a entrambe le parti in vista di un esito finale – due poteri che si vantano di non riconoscere alcun diritto se non quello che si attribuiscono; come “God’s own Country” in una versione o nell’altra?
È semplicemente inadeguato, rudemente parlando: estremamente sciocco, rispondere alla brutalità della legge con cui operano gli Stati, dai più piccoli alle grandi potenze che distruggono il mondo, con il moralismo privato dell’individuo interessato.
La situazione è diversa quando si pensa e si giudica la situazione non come un privato filantropo ma con la moralità di un cittadino dello Stato. Allora si è già di parte ancor prima di essersi schierati privatamente. Questa è la vera ragione per cui una cittadinanza attiva non permette a nessuno di cavarsela coll'indifferenza. Coloro che non rivelano la giusta opinione si escludono dall'impegno che la nazione ha preso perché – e nella misura in cui è già parte nel conflitto attuale, e alla fine, nolens volens, anche nella eventuale escalation conseguente. Questa presa di posizione viene rifornita di materiale visivo e di regole di linguaggio che sono atti a commuovere tutte le persone sensibili – e tuttavia allo stesso tempo portano regolarmente a qualcosa di completamente diverso: nella sofferenza e nella miseria causata dallo Stato, l’individuo ben informato non percepisce più la sua impotenza di fronte ai poteri statali che strumentalizzano intere popolazioni per la loro volontà di conservarsi; il cittadino si vede come il rappresentante dello Stato al cui potere è sottoposto. Di conseguenza, le vittime non sono semplicemente compatite e gli aggressori detestati ma si richiedono armi per gli attori della parte politicamente corretta e si incoraggiano volontari e soldati di leva a commettere atti di guerra.
Per lo meno, ci si può risparmiare queste confusioni: quello umanitario e quello civico di stato, e la loro combinazione, che è così produttiva dal punto di vista intellettuale – anche se non ci risparmia né la guerra né l'entusiasmo dei concittadini indignati per la guerra. Dopo tutto, una cosa è possibile e necessaria: spiegare la guerra e le sue ragioni, quelle generali di ogni Stato sovrano e quelle speciali della NATO e della Russia che possono arrivare fino ad una guerra mondiale, a se stessi e a tutti coloro che sono disposti ad ascoltare. La speranza – in ogni caso nient’altro che una delle principali virtù di un moralismo che resiste ad ogni guerra – non sarà certo alimentata da queste spiegazioni. Ma almeno il proprio giudizio non sarà il giocattolo delle grandi Potenze armate.